Fino al 1728 il vino, Champagne compreso, si continuò a vendere prevalentemente sfuso o in botti di legno, ma il giorno 8 Marzo dello stesso Anno Luigi XV, Re di Francia, con un suo decreto sanciva, anche per i privati, la liberalizzarne del trasporto dello Champagne in panieri da 50 e 100 bottiglie, le stesse dovevano contenere 28 Once (ai tempi l’unità di misura del volume era l’Oncia Liquida) pari a circa 0,79 litri, ed avere un tappo assicurato al collo della bottiglia da tre giri di spago a forma di croce..
Successivamente, nel 1735, il Re commissiona, a Jean-François de Troy, l’opera “Le Déjeuner d’huîtres”, il primo dipinto della storia raffigurante una bottiglia di Champagne.
Il quadro, destinato ad ornare la sala da pranzo di un appartamento del Castello di Versailles rappresenta un pranzo di ritorno da una battuta di caccia a cavallo. Sulla tavola un trionfo di ostriche – si narra che ne mangiassero almeno 300 – trasportate rapidamente, in ceste di paglia, dalla costa francese, consumate con pane, aglio, burro, sale e pepe, e come bevanda solo Champagne, che era senz’altro dolce, come allora di moda, e quindi perfetto per contrastare la sensazione salmastra del mollusco; i bicchieri erano di forma conica, ben freddi per mezzo di piccole boule di porcellana riempite di ghiaccio. In primo piano un pregiato mobile in stile Rocaille con funzione di seau à glace e porta stoviglie, contenente bottiglie di Champagne con tappi di sughero tenuti saldi da diversi giri di spago.

Nel 1805 Nicole-Barve Ponsardin, rimasta vedova di Francois Cliquot, cominciò a commercializzare il suo prodotto, estremamente dolce: prima di spedire le bottiglie, grazie all’intuizione di un suo dipendente, Antoine de Muller, che inventò il sistema del “remuage”, toglieva il sedimento e riempiva il vuoto creatosi con una miscela sciropposa di vino, zucchero, alcol e brandy. Grazie a questo innovativo sistema il vino era assai più frizzante, piacevole e soprattutto limpido.
La produzione era però molto costosa: le bottiglie, come detto, non erano affidabili e non venivano riutilizzate perché si credeva che la pressione ne indebolisse il vetro.
Ma da allora lo Champagne a poco a poco conquistò tutti, dai nobili ai popolani, dai Re ai rivoluzionari, attraversando tutte le Corti d’Europa. Dalle 300.000 bottiglie prodotte nel 1780 si passò ai 20 milioni vendute nel 1900, e ciò nonostante il problema della fragilità dei vetri, che scoppiavano in numero considerevole. Come scritto in altro post, questo grosso problema fu risolto solo nel 1850 quando i vetrai inglesi Holden e Colent brevettarono, un nuovo tipo di vetro ancora più resistente di tutti i precedenti.
Prima di usare il sughero, come chiusura delle bottiglie si preferiva usare altro: pergamena, carta, piombo, stoffa, cavicchi di legno e per molto tempo si usarono anche tappi di vetro smerigliati, fatti su misura per il collo della bottiglia. Il sughero non veniva preso in considerazione (anche se già usato dai Romani per chiudere le anfore), forse perché i sugheri all’epoca erano di cattiva qualità causando al vino “sapore di tappo”, o anche perché si riteneva che il sughero, con la sua porosità, permettesse all’aria di penetrare e danneggiare il vino.
I tappi di vetro erano fatti in maniera da poterli legare alla bottiglia per la quale erano stati appositamente forgiati ed alla quale si adattavano perfettamente, ma furono gradualmente abbandonati perché troppo spesso era impossibile toglierli senza rompere la bottiglia.
Sta di fatto che dopo l’introduzione dell’uso permanente del tappo di sughero, l’anello posto sul collo della bottiglia verrà portato a livello dell’imboccatura per rinforzare questa parte della bottiglia stessa e per permettere una migliore presa della gabbietta di contenimento. Le nuove bottiglie cosiddette “inglesi”, prodotte quindi dalle fornaci a carbone, non erano certo più trasparenti delle altre, erano più scure ma finalmente assai più resistenti, ciò favorì, ovviamente, la produzione massiccia dello champagne.
Si iniziò anche ad usare il filo di ferro al posto dello spago per trattenere i tappi, ma spesso questo penetrava nel tappo stesso frantumandolo, così Adolphe Jacquesson ebbe, per primo, l’idea di utilizzare una capsula in lamierino metallico fustellata e preformata, da porre tra il tappo e il fil di ferro, senza altre scritte se non anche in rilievo la parola Champagne.
All’inizio, per assicurare i tappi alla bottiglia, vennero fabbricate gabbiette semplici, con tre o quattro montanti, che formavano un quadratino o piccolo triangolo centrale, nella parte superiore. Le gabbiette erano posate direttamente sul tappo e sovente si inseriva una rondella metallica tra il sughero e la gabbietta per garantire una migliore tenuta.
La soluzione si dimostrò ben presto vincente, poiché permetteva di fissare saldamente il tappo, di avere un’ottima tenuta e di far assumere ai tappi una forma tondeggiante e regolare, inoltre era esteticamente assai valida e, volendo, si poteva decorare con i marchi delle diverse Maison produttrici.
